Il Test di Marsh fu ideato dal chimico inglese James Marsh (1794-1846) nel 1836. Si trattava di un metodo innovativo, utilizzato nell’ambito della tossicologia forense per rilevare piccole quantità di arsenico. Il Test venne poi utilizzato da vari esperti in celebri casi di cronaca dell’epoca, tra i quali si ricordano il caso di Marie Lafarge, condannata per l’omicidio del marito, di cui si occupò lo spagnolo Mathieu Orfila, e il caso di John Parsons Cook, avvelenato da William Palmer, di cui si occupò l’inglese Alfred Swaine Taylor.
L’arsenico (As), contenuto in pesticidi e veleni per topi, divenne all’epoca un metodo comune di avvelenamento. Essendo di facile reperibilità, inodore e insapore, poteva essere aggiunto a cibi e bevande ed era impossibile da rintracciare prima dell’avvento del Test di Marsh.
Esso ha effetti sul tratto gastrointestinale e sul sistema cardiocircolatorio e sono caratteristici segni clinici la diarrea, le gravi coliche, la debolezza e il collasso cardiocircolatorio. Spesso i decessi venivano attribuiti ad altre cause, come ad esempio il colera, data la simile sintomatologia, e non venivano imputati ad un’azione criminale.
Il Test di Marsh si avvaleva di un semplice apparato. Al campione, solitamente prelevato dallo stomaco della vittima, venivano aggiunti zinco e acido solforico. Il campione veniva poi riscaldato e, se l’arsenico era presente, venivano emessi idrogeno e gas arsina, il quale lasciava un deposito scuro caratteristico.
Il metodo si rivelò utile per la risoluzione di molti casi, ma la sua attendibilità e affidabilità sono state spesso messe in discussione, soprattutto a causa della contaminazione incrociata dovuta alla mancanza di efficienti metodi di sterilizzazione della strumentazione tra un utilizzo e l’altro.
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